mercoledì 25 marzo 2020

Pappagalli estinti...

Art. di Marco Cotti.

PAPPAGALLI ESTINTI.
Psittacidae
● Amazona martinicana - amazzone di Martinica (1750 ca.)
● Amazona violacea - amazzone di Guadalupa (1750 ca.)
● Ara atwoodi - ara gialloverde di Dominica (1800 ca.)
● Ara erythrocephala - ara gialloverde della Giamaica (1842 ca.)
● Ara gossei - ara rossa della Giamaica (1765 ca.)
● Ara guadeloupensis - ara delle Piccole Antille (1760 ca.)
● Ara tricolor - ara di Cuba (1864 ca.)
● Aratinga labati - parrocchetto di Guadalupa (1722 ca.)
● Conuropsis carolinensis - parrocchetto della Carolina (1914 ca.)
● Cyanoramphus ulietanus - parrocchetto di Raiatea (1773 ca.)
● Cyanoramphus zealandicus - parrocchetto frontenera (1850 ca.)
● Lophopsittacus bensoni - pappagallo grigio di Mauritius (1764 ca.)
● Lophopsittacus mauritianus - pappagallo beccolargo (1650 ca.)
● Mascarinus mascarinus - pappagallo delle Mascarene (1840 ca.)
● Necropsittacus rodericanus - pappagallo di Rodrigues (1763 ca.)
● Nestor productus - kaka di Norfolk (1851 ca.)
● Psephotus pulcherrimus - parrocchetto del paradiso (1927 ca.)
● Psittacula exsul - parrocchetto di Newton (1880 ca.)
● Psittacula wardi - parrocchetto delle Seychelles (1881 ca.)
Conuropsis carolinensis 
Il primo settembre 1914, l’ultimo Colombo migratore fu trovato morto nella sua gabbia, nel giardino zoologico di Cinicinnati. 
Prima della fine del mese, nello stesso istituto, l’ultimo Parrocchetto della Carolina cadde dal suo trespolo in una gabbia vicina e morì. Il Parrocchetto della Carolina (Conuropsis carolinensis) era un pappagallo relativamente piccolo, lungo circa 30 cm e di peso circa di 280 gr. Il suo corpo era di colore verde e giallo, la sua coda lunga ed appuntita e aveva la testa color giallo-arancio. 
Era l’unico pappagallo nativo degli Stati Uniti ma fino alla fine del diciannovesimo secolo era comunissimo nella foresta decidua a est, specialmente nei terreni bassi dei fiumi densamente boschivi. La diminuzione dei Parrocchetti coincise quasi con quella del Colombo migratore. Anche per essi la causa maggiore del loro annientamento fu la caccia smisurata da parte degli uomini che li uccidevano per gioco, per cibarsene, o per le piume. Durante il diciannovesimo secolo venivano tenuti comunemente come uccelli da gabbia e i cacciatori, facendo uso di trappole, ne catturarono migliaia per poi venderli come animaletti da compagnia, nonostante non si riproducessero quasi mai in cattività. 
Anche i coltivatori ne uccisero in gran quantità. 
Gli uccelli per natura si nutrivano di sementi, ma quando le foreste furono tagliate per fare spazio ai frutteti e ai campi di grano, anch’essi cominciarono a nutrirsi di queste colture. La reazione dei coltivatori fu prevedibile. 
Il Parrocchetto viveva principalmente nelle foreste mature e formavano il loro nido entro alberi cavi. 
Naturalmente lo sgombro delle foreste ebbe il suo effetto sulla diminuzione della specie, ma questo declino avvenne assai più rapidamente di quanto la sola distruzione dell’habitat potesse giustificare.  Vi erano due sottospecie facilmente identificabili, separati dalla catena dei Monti Appalachi che da Nord a sud arriva fino all’America orientale. La sottospecie occidentale (C. c. ludoviciana) era generalmente caratterizzata da colori più chiari della specie orientale (C. c. carolinensis), con una tinta più blu della sua colorazione verde e le ali più gialle. Entrambe le razze avevano un sistema di difesa istintivo e non comune fra i pappagalli. Quando un uccello veniva ferito ucciso, il resto dello stormo si precipitava o volteggiava rumorosamente sopra la vittima in segno di preoccupazione o collera. Nei confronti di alcuni nemici naturali questa tattica poteva servire a distrarre o cacciare via il predatore dalla vittima. Ma diventò una procedura altamente distruttiva quando si trattò di dover affrontare un uomo armato, che ne approfittava per distruggere interi stormi dopo aver atterrato un solo uccello. Verso il 1880 gli uccelli erano naturalmente diventati rari, ma fu fatto molto poco per cercare di conservarli prima che potesse essere veramente troppo tardi. A oriente l’ultimo esemplare selvatico fu raccolto nel 1901 e l’ultimo avvistamento fu effettuato nel 1904, anche se vi sono testimonianze di avvistamenti di Parrocchetti in Luisiana che risalgono al 1910. Altri rimasero vivi in cattività fino al 1914, quando morì l’ultimo di questi esemplari a Cincinnati. Il destino del Parrocchetto della Carolina fu inconsueto per la sua famiglia, in quanto la sua fama di animale dannoso lo aveva portato lo sterminio. Contrariamente, molte altre specie furono portate all’estinzione a causa dell’affetto e di ammirazione da parte dell’uomo e le richieste di mercato di questi animaletti gravano tuttora pesantemente sulle vite di questi pappagalli. 

Questa intera famiglia che varia notevolmente per forma, dimensione, colore e habitat, comprende oltre 300 specie viventi e ha sempre mantenuto per l’uomo un grande fascino nel corso della storia. 

Esotici, ma facilmente addomesticabili, agili, perfino disposti ad arrampicarsi in spazi ristretti, colorati, giocosi, birichini ed intelligenti, sembrano essere stati tenuti come animali prediletti da ogni società umana evolutasi nel loro habitat. Ma per gli europei, che non conobbero ma gli uccelli fino alla colonizzazione del sedicesimo secolo, essi sono considerati più che altro come gli uccelli che sanno parlare. Ovviamente i pappagalli non conoscono il linguaggio umano, ma fin dai tempi della Grecia classica e dei romani, ci sono stati tramandati divertenti acconti di questi uccelli parlanti. Senza dubbio, il più fluente tra gli uccelli parlanti che sia mai esistito fu un parrocchetto canoro il cui proprietario dello Hampshire, in Inghilterra, ci fornisce testimonianze che l’animale possedeva un vocabolario di 531 parole! 

Lophopsittacus mauritanicus 

Per i primi colonizzatori delle Isole Mascarene tutto ciò che si muoveva era considerato carne commestibile e i pappagalli non erano esclusi. Come ci si può immaginare, le isole erano dimora di molte specie di pappagalli ampiamente adattate, così come teatro di qualsiasi altrettante estinzioni spietate. Forse il più straordinario fra tutti pappagalli che un tempo abitarono Mauritius fu il Lophopsittacus o Pappagallo dal Becco Largo, estinto nel 1650. 

Della specie non è sopravvissuto alcune esemplare e la nostra conoscenza su questo grande pappagallo (circa 70 cm) si sarebbe potuta limitare ad alcuni testi di scheletro se non fosse stato per la scoperta in epoca recente di uno schizzo dettagliato realizzato da un olandese, Wolphart Harmanzoon, contenuto nell’inestimabile diario di bordo manoscritto relativo alla sua visita a Mauritius nel 1601-02. Vi è anche un disegno piuttosto trascurato di Sir Thomas Herbert fatto nel 1638, probabilmente l’ultima volta che l’uccello fu visto vivo. La sua caratteristica principale era il becco enorme, nonostante studi sul suo scheletro sostengono che esso fosse leggero e di debole struttura, adatto ad una dieta di sola frutta e cibi teneri. Era un uccello crestato, con la coda abbastanza lunga e di colore grigio bluastro. Sembra che fra i sessi vi fosse una notevole differenza di dimensione, ma non possiamo sostenere con certezza quale dei due fosse quello più grande. Ma l’aspetto più significativo del Pappagallo dal becco Largo era la sua incapacità al volo. Con la sua grossezza, la carena dello sterno ridotta e le ali molto corte, il massimo che sarebbe stato in grado di fare era di eseguire una scivolata in discesa simile a quella dello Strigope della Nuova Zelanda. Ovviamente, per i cacciatori di prede facili esso rappresentò un obiettivo allettante e nei confronti delle altre creature che l’uomo portò con sé a Mauritius era quasi indifeso. 

 Necropsittacus rodericanus 

Anche un possibile parente, ma molto meno adattato e di grossa taglia, visse a Rodriguez. In questo caso la nostra sola prova è rappresentata dalle sue ossa e da ciò che può essere racimolato da questo passo che si trova in un manoscritto anonimo del 1731: “i parrocchetti, numerosi, si distinguono in tre tipi. I più grossi sono più grandi di un colombo ed hanno una coda molto lunga. La testa, come il becco, è grande. La maggior parte di questi vive su isolotti situati a sud dell’isola dove si nutrono di un piccolo seme nero prodotto da un arbusto che profuma di limone. Vengono sull’isola maggiore per l’acqua. Quelli che invece rimangono sull’isola maggiore si possono trovare sugli alberi più piccoli”. Si presume che il più grande di questi uccelli fosse il Necropsittacus. Dalla prova dello scheletro risulta che fosse, a 50 cm della stessa grandezza di un grosso cacatua ed avesse un grande becco. 
Per certo sappiamo molto poco di più su questo esemplare. Comunque, alcune descrizioni di viaggiatori su un uccelli simili su Mauritius a e Riunione parlano di “Testa e coda color rosso fuoco, resto del corpo in ali verdi”, “Corpo della grandezza di un grande colombo, cima della coda e parte superiore delle ali di colore del fuoco”. Sebbene Rothschild ci parlò di due specie separate (N. francicus e N. borbonicus) passate su queste descrizioni, e più probabile che si sia trattato in questo caso di una razza soltanto. D’altra parte, il Conte Hachisuka, lo Schliemann dell’ornitologia di Mascarene, ha sostenuto che il volatile di Rodriguez era probabilmente uniformemente verde, dal momento che l’autore della relazione prosegue parlando del successivo delle tre specie di parrocchetti; “La seconda specie è leggermente più piccole più bella, perché a un piumaggio verde come il precedente, un po’ più blu e sopra le ali un po’ di rosso come sul becco”. La deduzione di Hachisuka sembra che fosse esatta, ma rimane solo un’affermazione congetturare. 

Psittacula exsul 

Alla seconda specie appena citata dall’anonima relazione era quasi sicuramente appartenuto il Par rocchetto di Rodriguez dal collare (Psittacula exsul), così denominata per le sue affinità con la famiglia, non per un collare effettivamente visibile. È anche conosciuto come pappagallo di Newton. 
Nel 1967 la sua estinzione fu considerata più probabile che certa; ma dal momento in cui l’ultimo avvistamento allo stato selvatico fu registrato nel settembre del 1874 e l’ultimo esemplare fu apportato nell’agosto dell’anno seguente, dobbiamo dedurre che questo par rocchetto di media taglia (41 cm), di un colore verde bluastro non sarà mai più avvistato. È difficile immaginare che la ristretta zona di rifugio rimasto su Rodriguez possa averlo nascosto per così tanto tempo. Francois Leguat ci parla nelle sue scritture di quanto questo par rocchetto andasse matto per le nocciole di un albero facente parte delle oleacee così come della passione di questi coloni per la carne di questi volatili (“non peggiore quella dei colombi giovani”), egli però provò anche quanto questi pappagalli fossero apprezzati dagli ugonotti in esilio come “deliziosi animaletti da compagnia”. Ci descrive come molti di loro venivano addestrati e che ne presero uno che “parlava francese e fiammingo” e lo portarono con loro quando partirono da Rodriguez per raggiungere Mauritius. Dalla descrizione contenuta nella relazione, sembrava che i maschi adulti della specie avessero avuto segni rossi sulle ali (come i parenti parrocchetti) ma gli unici esemplari presenti oggi nei musei sono una femmina e un maschio immaturo. 

Psittacula eques echo 

Strettamente connesso all’uccello di Rodriguez e probabilmente all’esemplare appena sopravvissuto di Mauritius (Psittacula echo, cinque individui conosciuti) era il Parrocchetto di Reunion dal collare (Psittacula eues). Abbiamo notizie di questo uccello solo da una pubblicazione del 1783 con la didascalia (Verruche ò collier, de l’isle de Bourbon” e da una descrizione fornitaci da Sieur Dubois che riferisce di “parrocchetti verdi, della grandezza di un colombo e dal collare nero.” 
 Mascarinus mascarinus Un altro pappagallo di Reunion fu tuttavia assai meglio documentato, almeno un pappagallo delle Mascherene (Mascarinus mascarinus) fu portato in Europa e fini i suoi giorni nel giardino del re di Baviera. Nel 1834 era ancora vivo e il suo corpo è forse l’unico conservato oggi avviene. Nessun esemplare della sua specie fu mai portato allo stato selvaggio dopo questa data. Sebbene fosse complessivamente lungo solo circa 35 cm, come molti degli altri psittaciformi delle Mascherene, era caratterizzato da un becco massiccio. Se era contrassegnato il colorato in modo straordinario, con la testa color lilla e di un muso nero, il becco rosso che la coda larga e marrone con una striscia bianca alla base. Se il resto delle sue piume era di colore marrone tendente all’grigio. È normale che fosse preferito come specie da serraglio ma non abbiamo alcun modo per calcolare almeno quanti di essi siano partiti da Reunion nel lungo viaggio per mare attorno al Capo di Buona Speranza. Vi è molta discordanza da parte degli studiosi sulle affinità di questo pappagallo, sembra più probabile che fosse imparentato con l’altro genere estinto delle Mascherene e forse al raro Coracopsis nero delle isole Seychelles. Essendo stati rilevati “pappagalli rossastri, a Mauritius nel 1638 (da Peter Mundy), alcuni scrittori tengono per vero che anche il pappagallo delle Mascherene fosse vissuto in quell’isola. Sembra altrettanto possibile, tuttavia, che l’enigmatico riferimento di Mundy fosse riferito ad un altro uccello ancora scomparso da queste isole infelici. 

 Psittacula waardi 

Ancora più a nord, nell’oceano indiano gli uccelli delle isole Seychelles se la passavano molto meglio, ma anche qui vi furono stragi di pappagalli, quantunque più recenti. Il Parrocchetto delle Seychelles (psittacula wardi) era imparentato ai Pappagalli dal collare delle Mascherene e, come il tipo che sopravvive a Mauritius, era conosciuto come “Cateau vert”. 
Anch’essi identico di taglia (41 cm) esso differiva dalla psittacula delle Mascherene in quanto sprovvisto di collare rosa, quindi più strettamente imparentato con le forme asiatiche del genere, anche se si potrebbe dire sullo stesso del Rodriguez. La femmina era sprovvista del parziale colletto nero presente invece nel maschio, ma entrambi i sessi erano caratterizzati da code lunghe di un colore blu pallido oppure da un piumaggio color verde. Perlomeno sull’isola maggiore di Mahè era considerato come un animale nocivo cui venivano tese le trappole oppure veniva colpita vista per le devastazioni di cui era artefice nei campi di granoturco che sostenevano le piantagioni di cocco che si stavano diffondendo. Nel 1866 si il numero era già molto limitato quando Eduard Newton, il governatore britannico di Mauritius fu informato del suo viaggio attraverso le Seychelles che questo esemplare era stato sterminato. Verso la fine del suo viaggio egli comunque e del modo di vederne uno sulla piccola isola (21 kmq) di Silhouette, mentre volava guardingo lungo il bordo della foresta, vicino ai campi di granoturco. Gli fu detto inoltre che questo uccello un tempo abitò anche il isola Praslin. Quattro anni più tardi abbiamo testimonianza il vi fossero alcuni parrocchetti rimasti su Mahé, poiché alcune pelli furono mandati in Inghilterra (Cambridge); nel giugno del 1881 H. M. Warry raccolse due esemplari sull’isola. Questa è l’ultimo autentica testimonianza che abbiamo del Cateau Vert. 

Ara tricolor 

Tuttavia i pappagalli furono conosciuti in Europa molto prima di quelli importati dalle isole dell’oceano indiano. Perfino prima della fine del quindicesimo secolo essi rappresentavano il simbolo del nuovo mondo nei cortei trionfali di Cristoforo colombo e Spagna ed è da questo periodo che comincia il declino di pappagalli nelle Indie occidentali (Antille grandi e Antille piccole) e specialmente dei grossi e spettacolari ara. La vittima più certa fu l’Ara Macao Rossa di Cuba (Ara tricolor), non il più grosso della razza (solo 51 cm), ma di una bellezza sfarzosa con quella sua fronte rossa, dal cima del capo ed il collo gialli, le ali di un colore blu scuro e una coda lunga, di sopra blu e sotto rossa. Questi ara nidificavano in cavità e fenditure situate nelle palme e prediligevano quelle palme e gli alberi Melia in fiore per la loro dieta a base di frutta, segni, germogli e boccioli. L’ultimo uccello selvatico di cui sia testimonianza ucciso a La Vega nella palude di Zapata nel 1864, anche se vi fu un esemplare proveniente da un ozono di Parigi, probabilmente dal Jarden des Plantes, che si pensa visse più a lungo. J. Gundlach raccolse un numero di Ara cubani tra il 1850 e il 1860, e periodi in cui l’ultimo grande stormo regolarmente si recava a cibarsi in un piccolo gruppo di alberi a Zarabanda, sempre nella zona della palude di Zapata. Gundlach riferì che i cubani si cibavano regolarmente della carne degli ara (anche se egli la trovava disgustosa) di chi gli si abbattevano gli alberi dove questi nidi ficcavano con l’intento di catturarne alcuni esemplari indenni per venderli come animaletti da compagnia. (Questo rimane il metodo standard utilizzato in Sudamerica per la cattura e il mercato di questi animaletti). Questi sfruttamenti, insieme alla diffusione delle piantagioni, ammettendo che questi ara effettivamente che si fossero spinti al di fuori del terreno della palude, portarono in conclusione allo sterminio totale degli uccelli. Essi non erano i soli. 
Molte altre isole delle Indie orientali ospitavano ara che erano scomparsi al contatto con gli europei, a causa sia dell’espansione delle piantagioni che del mercato esotico. Ma solo l’Ara Macao Rosso di Cuba viene rappresentato tramite esemplari nelle collezioni moderne e una breve rivista e l’unica testimonianza dell’esistenza di altri membri della sua famiglia. Dalla testimonianza di Cristoforo e Ferdinando Colombo sappiamo che gli Indiani Caribi, essi stessi vittime dell’espansione europea, mangiavano ed addomesticavano ara i pappagalli nelle varie isole Antille. 

Un osso di zampa di uno di questi esemplari è stato trovato in un cumulo preistorico di ossa Caribico o “Arawak” a St Croix, St Vincent. Questo è stato chiamato Ara autocthenes di cui ovviamente non è stato possibile realizzare in questo volume neppure un’illustrazione indicativa. Altri esemplari non raffigurati, ma di cui si dispone di una più ampia documentazione, sono i parenti dell’Ara Macao Rosso (di Cuba) della Guadalupa e di Hispaniola, denominati dai Caribi “Guacamayo”, risalendo l’uccello cubano a 300 anni dopo. 
Nell’aprile del 1496 Ferdinando colombo riferì di aver visto “pappagalli rossi grandi come polli” a Guadalupa; de las Casas, nella sua storia delle Indie, distinse il Macao di Hispaniola da quello di Cuba per la sua fronte bianca anziché gialla. Oltre a ciò, possediamo una prova pittorica da parte di Roe-landt Savery (colui che ci fornì i riferimenti sul Dronte) del diciassettesimo secolo, che ci fornisce una descrizione di un ara che esattamente corrisponde questa descrizione. Non si sa se riconoscere oppure no altri due tipi di Ara Macao Rosso da queste testimonianze. 
 Ara gossei Inoltre non è impossibile che l’Ara Macao dalla testa gialla della Giamaica (Ara gossei), visto per l’ultima volta circa nelle 1765 a Lucea, vicino alla baia in Montego, fosse lo stesso esemplare di uno o entrambi quelli descritti sopra il corpo imbalsamato privo di zampa di questo esemplare fu osservato da un certo dottor Robinson, il quale ne diede descrizione sufficientemente dettagliata al naturalista Gosse da permetterci di illustrarlo con una certa sicurezza. 

Un alquanto più recente esemplare sopravvissuto fu visto dal reverendo Comard nelle 1842 nel distretto rurale di St James, vicino al cuore dell’isola. Egli osservò due grossi ara che volavano vicino ai piedi del monte egli fu riferito dai residenti che nella parte di sotto del loro corpo il piumaggio era di un vivo giallo e blu. Quasi certamente (anche se su questo argomento alcune fonti saranno poi discordanti) queste erano le stesse specie procurate nel 1810 nelle montagne di Trelawney e di St Anne, dal proprietario del podere Oxford, Mr. White. Una delle “conoscenze con mitologiche” di Gosse, Mr Hill, il quale credeva che questi ara svernassero in Giamaica dal Messico, lo descrisse in questo modo: “testa rossa, collo, spalle e parti inferiori del corpo di un verde chiaro e vivaci, con le più grandi penne e piume e le ali color blu. 
La coda e scarlatta e di più sulla superficie superiore, con le piume sia sotto l’accusa che sotto le ali di un colore arancio giallo intenso”. Questa descrizione è stata per noi è abbastanza dettagliata da potere raggiungere una ricostruzione approssimativa dell’Ara Macao verde e giallo (Ara erytrocephala).

 Ara atwoodi 

Includiamo inoltre un’illustrazione, realizzata con attenzione, dell’ara di Domenica, l’Ara atwoodi, descritto da Thomas Atwood nel suo rapporto sull’isola realizzato nel 1791. Stando alle sue parole “L’ara appartieni alla razza di pappagalli, mai più grandi del pappagallo comune ed emette un verso più sgradevole. Ve ne sono in gran quantità sull’isola insieme ai pappagalli: entrambi hanno un piumaggio di uno stupendo color verde echeggiarono, con una sostanza carnosa di color rosso che dalle orecchie raggiungere la radice del becco, il cui colore è simile alle piume principali della coda e delle ali”. La “gran quantità” di questi singolari pappagalli e di ovviamente una breve durata: non vi sono relazioni successive riguardo questi uccelli e non ne esistono e esemplari conosciuti. Ancora 11 dei gruppi di uccelli più sfruttati, gli ara, possono beneficiare enormemente della somma offerta con successo da parte dello IUCN per dare, nel 1981, protezione tutte le 380 specie di pappagalli meno tre. 
 Aratinga labati Spettacolari come furono gli ara, i loro piccoli parenti, i Conuri (Aratingae) e le Amazone si rivelarono altrettanto affascinanti per il mercato esotico che altrettanto squisiti in padella quanto indesiderati nelle piantagioni. 
Nonostante i Conuri siano oggi ancora presenti Cuba e in Giamaica e l’Aratinga chloroptera sopravviva senza difficoltà a Hispaniola, una sottospecie (A. c. maugeri) fu annientata a Portorico prima della fine del secolo scorso, 150 anni prima che il tipo della Guadalupa (A. labati) scomparisse. I Conuri sono pappagalli di piccola-media taglia (ali in circa 32 cm), dotati di lunghe code sfumate, cerchi intorno agli occhi privi di piume e di larghi e massicci vecchi. 
Noi conosciamo il tipo della Guadalupa, Aratinga labati dal Noveau Voyage di J.B. Labat del 1722, da e l’uccello prende il nome. 
Egli scrisse: “quelli della Guadalupa sono circa della grandezza di un merlo, completamente verdi, eccetto qualche piuma rossa piccola che hanno sul capo.” 
Precedentemente Du Tertre nella sua Histoire Generale… del 1667 aveva distinto i Conuri dagli Ara (Macao)e dai “perroquets” (Amazone) dicendo: “quelli che chiamiamo ‘Perriques’ sono i piccoli ‘Perroquets’, verdi in. Il corpo e della stessa grandezza di una gazza”. 
 Aratinga chloroptera maugei Una vittima più recente fu la piccola sottospecie del Conuro di Hispaniola, A. c. maugei, che viveva sull’isola di Mona, a metà strada tra Hispaniola e Portorico e, secondo la tradizione orale dei vecchi, anche Portorico stessa. Era un uccello verde più pigro della specie di Hispaniola, con più ampie marcature rosse nelle piume sotto l’ala e con un becco più scuro e piccolo. Questo Conuro fu raccolto da W. W Brown nelle 1892 per l’ultima volta, il suo numero fu infatti ridotto drasticamente durante il secolo scorso dai cacciatori di colombi. 
Questi pappagalli erano prettamente gregari, dal verso simile a uno stridio di ininterrotto mentre seguivano le loro regolari “traiettorie di volo”. All’interno di un gruppo, ogni con sia costituiva un’unità ben distinta e gli stormi si muovevano in modo veloce e diretto. Si nutrivano di semi, frutti, noci, bacche che probabilmente gemme foliari e fiori. 
Nonostante fossero uccelli usualmente diffidenti, lasciavano da parte ogni prudenza al momento di nutrirsi, ma dovendosi adattare a cibarsi nei campi di granoturco, la loro distruzione divenne più rapida. 
Erano soliti nidificare in alberi cavi, vecchie tane di picchi e con gli albori di formiche bianche. 
Secondo una delle ironie del mercato delle bestiole da compagnia, il loro habitat è stato ora assimilato dall’amazona di Hispaniola (Amazona ventralis), dopo che una partita di questi uccelli, a cui fu respinta l’entrata dalle autorità di Portorico, fu rilasciata in mare. 
I pappagalli del genere Amazona hanno subito gravi perdite e la maggior parte delle specie che sopravvivono sono rare o comunque in via di estinzione. Se caratterizzati dal Polo simile a quello di un’anatra, con un battito di ali basso, al di sotto della linea del corpo, questi grandi pappagalli variopinti, dotati di un forte pesante becco e coda corta e leggermente arrotondata, sono un genere raro. 
Essi sono tipici di un’antichissima branca di pappagalli e la loro connessione con altri generi e poco chiara. Jasmes Greenway scrive: “La cosa che maggiormente mi sorprende di loro e che questi uccelli così particolari, che vivono su piccole isole circondati da nemici, possono ancora esistere”. 
Tuttavia entrambe le Amazona della Guadalupa e di Martinica sono da tempo estinte e benché il tipo dominicano (lo spettacolare “sisserou”, A imperialis) fu salvaguardato fino al 1979 dalla natura montuosa delle foreste di quell’isola, tuttora non vi è testimonianza dell’effetto che il cataclisma provocato dall’uragano di quell’anno possa aver avuto su questo uccello. Ancora una volta dobbiamo ringraziare Du Tertre e Labat che con le loro osservazioni ci hanno fornito notizie su questi uccelli della Guadalupa, Amazona violacea. Du Tertre riportò che i colonizzatori francesi cacciavano le Amazone per cibarsene, come probabilmente facevano gli schiavi importati dall’Africa. La quasi totale distruzione delle foreste per lasciare spazio alle piantagioni che questa zona densamente popolata (nel 1900 vi erano 208 persone per chilometro quadrato) devono essere state le cause principali della loro sparizione. Inoltre, possiamo facilmente immaginare interesse che questi pappagalli debbono aver suscitato nei mercati dei prodotti esotici. Du Tertre ci descrive: “... circa della grandezza di una gallina. Hanno il becco e gli occhi cerchiati di rosso, mentre le penne del capo, del collo e della pancia sono viola mischiati di verde e nero ed iridescenti quanto quelle della culla di un colombo. La schiena è interamente di colore verde con una sfumatura di colore marrone spiccato. Le tre o quattro piume principali delle ali sono neri e le altre gialle, verdi e rossi. Sulla struttura principali delle ali vi sono due belle rose colorate allo stesso modo. 
Quando increspa le penne della schiena, forma una sorta di collare intorno alla sua testa”. Nel suo rapporto, Labat sottolinea che il colore base del Amazona della Guadalupa era grigio e non viola, ma è probabile che si fosse confuso con il tipo presente in Martini era, visto che li descrive identici. 
 Amazona martinicana Certamente su Martini era presente una specie di amazzone e si può affermare con quasi altrettanta sicurezza che questo uccello (Amazona martinica) cadde vittima delle stesse persecuzioni del suo affine. Come Guadalupa e, Martini era adatta alla coltivazione ed era quindi abbondantemente popolata e disgustata(nel 1900, 185 persone per metro quadro). 
Quella di Labat è l’unica descrizione dell’uccello che ci viene fornita, creando le basi per la nostra ricostruzione. 
 Il progresso dell’uomo impiegò più tempo a sbarazzarsi dell’Amazona dell’isola Culebra, (A. vittata gracileps). Fu vista per l’ultima volta da A. B. Baker il quale sparò altri di loro nel 1899. Era una specie più piccola e più agile del Amazona di Portorico (A. vittata) ed alcune fonti la considerano come una specie troppo poco differenziata per essere considerata come una sottospecie distinta. In ogni caso l’A. Vittata si trova oggi in pericolo di estinzione. Nel 1977 vi erano solo dai 15 ai 20 individui selvatici rimasti, tra i quali al massimo vi erano cinque coppie in riproduzione e 14 in gabbia. Il futuro della specie è ovviamente molto incerto. Le amazzone dell’isola Celebra avevano tipo di colorazione verde, prettamente gregari (eccetto vicino al nido dove esse erano “terribilmente territoriali”), seguivano regolari traiettorie di volo al mattino e alla sera ed evitavano le nuvole volteggiando intorno alle cime dei monti. La loro dieta comprendeva in origine almeno 50 diversi tipi di frutta ma specialmente le “Sierra Palms” (nella stagione degli accoppiamenti) e il “Tabunoco” (in autunno). Si nutrivano anche di mettere che una volta uno di questi uccelli fu visto uccidere una lucertola. 
Il successo che ebbero Le amazzone nel mercato delle bestiole domestiche fu probabilmente accresciuto dalla loro natura individualistica. Il loro richiami sono diversi complessi e persino all’interno di uno stormo ogni individuo possiede una propria “voce”. Possiamo solo sperare che discorsi delle autorità possono impedire queste voci di essere messe a tacere per sempre. 

Charmosyna diadema 

Dopo le Mascherene e le Antille, volgiamo la nostra attenzione inevitabilmente all’altro teatro di espansione europea, il Pacifico e gli Antipodi. Un’intera famiglia di pappagalli, i Lori e i Lorichetti, oggi è minacciata per tutto il Pacifico anche se finora solo una di queste forme è stata riportata come effettivamente estinte: il Lorrichetto della Nuova Caledonia (Charmosyna diadema). 
Questi piccoli (16-20 cm) ed eleganti uccelli che hanno subito gravi conseguenze dalla distruzione delle foreste, dalla caccia, dalle richieste di collezionisti e dalla moltitudine di animali introdotti; ma la più grave recente minaccia è giunta con l’introduzione del trasporto internazionale aereo verso le isole del Pacifico. A causa di questo intervento, sono state introdotte delle specie di zanzare portatrici della malaria aviaria. Il Lorichetto della Nuova Caledonia è conosciuto solo attraverso due esemplari femmine (18 cm) che furono raccolti prima del 1860, ma anche queste vecchie pelli conservano una bellezza sinistra. 
La femmine era gialle nelle guance e nella gola ed aveva la cima del capo di un colore blu violaceo e il becco di un colore arancio intenso. 
La parte principale del corpo era verde, ma le cosce erano sfumate di blu con macchie di colore rosso e nero vicino all’ano e alla coda. La coda, stretta e sfumata era essa stessa verde nella parte superiore e gialle in quella inferiore. Le zampe erano colore arancio. Era un gioiello fatto apposta per affascinare ogni appassionato collezionista. Sfortunatamente, le cose stanno sempre nello stesso modo delle autorità si sono mostrati contrariati dal fatto che i nativi della Nuova Caledonia si sono subito messi in guardia dopo le voci della riscoperta dei Lorichetti. Ad essi sono state offerte enormi somme da collezionisti per esemplari vivi o morti. 
Non vi è alcuna differenza per una popolazione di animali fra il catturare i esemplari vivi o morti. In entrambi i casi le coppie in riproduzione possono essere resi improduttivi e solo in mani esperte di uccelli possono riprodursi in cattività. Più spesso sono ottenute come questione della compagnia o in isolamento e veramente troppo spesso la capital quell’ultimo rappresentante di una specie memoria in una gabbietta, rimpianto da qualche famiglia umana come se si trattasse di un comune pappagallino o un pesce rosso. 

Nestor productus 

Simile fu il destino del Pappagallo dell’Isola di Norfolk, un grosso, bello e intelligente esemplari di Nestore, conosciuto da noi molto meglio nel ruolo di animale domestico che come creatura selvatica. Come la maggior parte degli uccelli di questa isola di detenuti, il Nestore venne liquidato in fretta dai nemici colonizzatori. John Gould, la nostra unica attendibile fonte di informazione, scrisse nel 1841: “i rifugi nativi di queste esemplari affascinanti hanno subito talmente tante intrusioni, insieme allo sterminio portato avanti contro di lui, che se non è già successo, non si dovrà attendere molto prima che …. come per il Dronte, non rimangano altro che pelle e ossa a testimoniare l’estate trascorsa esistenza. La sua ultima roccaforte fu costituita dall’isola di Phillip, 4,8 km dall’isola principale e solo 8 km di circonferenza. Il Nestore sembrava abitare le foreste, come suo parente molto più grande (45 cm) della Nuova Zelanda e sembra essersi cibato maggiormente di nettare dell’ibisco bianco o del tiglio americano. Gould esaminò la lingua di uno di questi uccellini e ne rilevò una “struttura molto peculiare”, infatti questa non terminava a spazzola come quella dei pacchetti che si nutrivano di nette, ma aveva una cavità indurita e stretta nella parte inferiore che, insieme alla punta della lingua, sembrava l’estremità di un dito dove l’unghia anziché sopra sta sotto.” Gli raccontarono di un animaletto da compagnia che aveva un debole per le foglie di lattuga comune e per gli altri teneri vegetali, goloso inoltre del succo di frutta e di panna. 
Il Nestore sul quale Gould fece le sue osservazioni era animaletto domestico del Maggiore Anderson e signora a Sidney, in Australia. Non è trattenuto in gabbia, ma gli era “ permesso di girovagare per tutta la casa, sui pavimenti, ma non procedeva con andatura dondolante e impacciata tipica del pappagallo, ma con una successione di balzi, precisamente alla maniera dei Corvidi. Gould fu affascinato dalla bestiola, notando il suo “verso disarmonico, Franco, simile al verso di un’anatra, avvolte simile al latrato di un cane” e trovò il suo comportamento e modi di muoversi talmente insoliti per un pappagallo da essere “convinto che essi fossero insoliti e non comuni anche allo stato selvatico”. Tuttavia ciò che egli fu in grado di scoprire su questi uccelli selvatici fu racimolato da alcuni racconti di Mrs Anderson la quale gli disse che sull’isola di Phillip questi uccelli frequentavano sia le rocce che le cime degli alberi, che nidificavano sia in buche che in alberi cavi e che deponevano fino a quattro uova. Gould dedusse che il Nestore “si adatta alla vita in cattività in modo eccellente, diventando in breve tempo un compagno gioioso, appagato il divertente”. 
Uno di questi uccelli, quasi certamente l’ultimo esemplare della sua razza, morì in una gabbia a Londra poco dopo il 1851. 
Cyanoramphus novazelandie subflavescens 

Fra tutte le famiglie di pappagalli, i Parrocchetti della specie Cyanoramphus rappresentavano gli esemplari maggiormente diffusi. Un tempo i loro ambiente naturale si trovava almeno 55° di longitudine i 30° di latitudine e comprendevano sei specie, una (nuovaezelandie) con nomi distinte e sottospecie. 
Questi uccelli di piccola-media taglia (circa 26 cm) erano tozzi dotati di lunghe code sfumate ed erano estremamente adattabili, solo quelli appartenenti alle isole più piccole si sono scomparsi, tuttavia siamo del tutto certi che alcuni di questi si siano estinti senza essere stati documentati. 
Le specie Cyanoramphi della Nuova Zelanda dimostrano l’adattabilità del genere,, che abitava le regioni più varie, come le riserve della foresta della stessa Nuova Zelanda e l’Isola di Macquarie molto più a sud, dove le tempeste avevano spazzato via ogni albero. Ma nonostante il Parrocchetto dell’Isola di Macquarie (C. n. erythrotis) riuscì ad adattarsi perfettamente ad un ambiente terrestre inospitale, non riuscì a sopravvivere all’avvento di cacciatori di foche e di pinguini o, piuttosto, ai gatti che questi lasciarono sull’isola. Nel 1821 spedizione russa sotto Bellinghausen giunse a Macquarie, raccolse 20 esemplari di questa parrocchetto ed ottenne un esemplare vivo da un cacciatore di foche per tre bottiglie di rum. Da quel momento nacque un vero e proprio mercato regolare i esemplari viventi che venivano venduti a Sidney come piacevoli uccelli legati. Nel 1880 J. H. Scott dell’Università di Otago si recò a Macquarie, scrisse di uccelli che n’edificavano nei cespugli di graminacee e disse che potevano essere visti “in gran quantità intorno alla spiaggia”. Ma solo 14 anni più tardi, A. Hamilton della stessa Università non fu più in grado di trovarne uno. Quasi certamente questi tenaci piccoli parrocchetti furono annientati dei gatti abbandonati, piuttosto che dal mercato degli animali domestici. 

Cyanorhamphus zelandicus 

Circa nello stesso periodo del Parrocchetto dalla fronte rossa dell’Isola di Lord Howe (C. n. subflavescens) giunse alla fine dei suoi giorni. Nonostante fosse sopravvissuto all’insediamento da parte degli europei per oltre cinquant’anni, era considerato da questi assolutamente una peste. Come il tipo presente sull’isola di Macquarie questo era relativamente grande (27 cm) inoltre si distingueva degli uccelli della Nuova Zelanda dalla testa di colore molto meno russo e da un piumaggio più generalmente giallo. 
L’ultima testimonianza di questo parrocchetto fu rilevata da E.S. Hill quando accompagnò un gruppo di giudici all’isola di Lord Howe nel 1869. 
Nei suoi appunti pubblicati l’anno seguente egli scrisse: “anche dei parrocchetti, che un tempo apparivano stormi, rappresentavano una seccatura per i coltivatori, ho visto solo una coppia solitaria mentre volava rapidamente il cielo Elio riconosciuti solo da loro rumore tipico.” Egli fu probabilmente l’ultimo uomo disarmato che li udì. 
Gli esemplari più isolati di questo genere furono scoperti nelle Isole della Società, 3200 km a nord-est della loro maggiore concentrazione in tutta Nuova Zelanda. Due specie, stranamente di colore scuro, abitavano Tahiti e Raiatea. Il parrocchetto nelle Isole della Società, di colore prevalentemente marrone scuro (C. ulietanus), è stato sorprendentemente ritrovato dopo più di 200 anni. Ponendo il caso che questo sia vero, è un dato incoraggiante scoprire quanto pezzo di regioni selvagge insieme a una sana dose di indifferenza da parte dell’uomo possono aver portato a termine questa conservazione.
 
Il Parrocchetto dalla fronte nera di Tahiti 

(Cyanoramphus zelandicus) erano principalmente verde come la maggior parte dei Cyanoramphi, con alcune tracce di blu in una striscia scarlatta dietro gli occhi, ma nera sorprendentemente diverso per il fatto che aveva la fronte nera. Probabilmente persino le prime forme raccolte nel 1773 furono giudicate straordinarie, quando due esemplari furono portati da Cook si dal suo secondo viaggio che probabilmente furono estinti poco dopo il 1844 quando un soldato francese, e Luogotenente de Marolles s’ha n’importò uno a Parigi. Gli abitanti lo chiamavano “Aa”, come fu notato da uno dei naturalisti di Cook, Parkinson. Oggi quel nome rappresenta l’unico ricordo che i tahitiani conservano del parrocchetto.