CONURO TESTABLU IN PIENA LIBERTÁ
Da molto tempo desideravo sperimentare personalmente il mantenimento di uno o più pappagalli in piena libertà. A questo scopo era necessario essere residente in un luogo molto tranquillo e con pochi vicini tolleranti, situazione che ho finalmente raggiunto da pochi anni. Inoltre ero cosciente del fatto che avrei dovuto scegliere per il piccolo esperimento una specie di pappagallo tendenzialmente residente e non vagabonda come l’ondulato o la calopsitta che fatalmente tendono ad allontanarsi dal luogo natio, e neppure specie pendolari a grandi distanze come i pappagalli di grande taglia (cenerini, amazzoni, ara, cacatua) che tendono ad allontanarsi molto e che tornerebbero anche a casa se disponessero dei genitori a insegnargli a muoversi con sicurezza lungo un percorso che può anche essere di decine di chilometri.
Le specie più adatte sono probabilmente la maggior parte degli africani (inseparabili e Poicephalus di piccola taglia), i conuri in generale, il parrocchetto dal collare indiano. La sorte ha voluto che, nel corso di una visita all’amico Guglielmo Petrantoni, trovassi una coppia di conuri testa blu (Aratinga acuticaudata) con un pulcino di circa un mese, superstite di una nidiata di tre.
Poiché era esattamente dell’età giusta per il mio esperimento e poiché temevo che le ragioni sconosciute che avevano causato la morte dei fratelli potessero causare anche la sua, d’accordo con Guglielmo, il giorno 26 luglio 2012 ho prelevato il piccolo e l’ho trasferito nella mia casa di Goraiolo che è situata in mezzo a un vasto bosco di castagni in posizione relativamente isolata. La determinazione del sesso, effettuata con metodo genetico, ha consentito di accertare che si trattava di un maschio.
La prima fase è consistita nell’allevamento a mano del conuro che, al momento del prelievo, pesava circa ottanta grammi e si presentava solo parzialmente coperto da penne ancora chiuse nel calamo. L’uccello è stato mantenuto all’interno di una cassetta nido, in una incubatrice regolata in un primo periodo a circa 28°C e, dopo un paio di settimane, a 26°C. Si noti che la mia casa è collocata a una quota di circa 800 metri e che anche in piena estate da noi non si raggiungono mai le temperature elevate della pianura. Per un mese circa, il mio rapporto con il conuro è stato limitato alla preparazione e somministrazione di tre pasti giornalieri ben caldi a base di A21, cibo eventualmente sostituibile con qualsiasi altra pappa con un tenore di proteine di circa il 20%. Negli ultimi giorni del mese di agosto, quando il piccolo conuro incominciava ad affacciarsi dal buco della cassetta, ho iniziato a maneggiarlo un po’ di più e soprattutto a portarlo fuori, per farlo abituare a non reagire in modo scomposto all’aria aperta. Il giorno 28 agosto, per la prima volta, il conuro ha spiccato il volo con sorprendente sicurezza, si è fermato su rami alti e non è parso in grado di scendere più. In effetti, se si fosse trovato in natura, il giovane involato sarebbe stato subito seguito dai genitori che lo avrebbero indirizzato continuando anche a nutrirlo.
Perciò, mi era molto difficile convincere il piccolo che io (cioè la sua madre adottiva) non ero in grado di volare. Necessariamente, dovevo aspettare con pazienza che il giovane fosse abbastanza affamato da modificare la strategia naturale e scendere verso il basso. Nonostante il pessimismo di chi mi stava intorno, dopo una notte trascorsa sulla cima di un albero, il piccolo Paulie (così avevo deciso di chiamarlo in onore del protagonista di un noto film) al mattino del giorno seguente rispose ai miei richiami e a poco a poco riuscì ad abbassarsi abbastanza affinché potesse essere recuperato e nutrito.
Dal secondo giorno in poi, con una facilità sempre maggiore giorno dopo giorno, recuperai il giovane tutte le sere per abituarlo a rientrare e trascorrere la notte in una gabbia della mia “casa degli uccelli”. Ogni mattina lo nutrivo con la sua solita pappa e quindi lo lasciavo andare ammirando i suoi voli sopra la chioma degli alberi, accompagnati da forti grida. Ogni tanto Paulie si avvicinava spontaneamente per chiedermi un’imbeccata e a poco a poco imparò anche ad atterrare con precisione sulla mia testa o sulla mia spalla. Nel frattempo erano passati altri dieci giorni circa e il giovane non dava alcun segno di volere tentare di mangiare da solo.
Perciò, incominciai a sollecitarlo in questo senso: quando scendeva, gli fornivo un’imbeccata molto piccola e poi lo sistemavo su un trespolo, con un bel pastoncino alla frutta per pappagalli a disposizione. Provai anche con mais bollito e con mela tagliata a pezzetti ed ebbi l’impressione che i progressi, piuttosto lenti, fossero legati più a una maturazione progressiva del comportamento piuttosto che ad apprendimento.
Intorno al 25 settembre, finalmente, il piccolo mangiava da solo, ma continuava a seguirmi in modo commovente e anche un poco asfissiante. Ogni sera, poco prima del tramonto, era facilissimo richiamarlo, dovunque si trovasse, e sistemarlo nella sua gabbia per trascorrere la notte nella casa degli altri pappagalli. Ogni mattina, non appena si faceva chiaro, andavo ad aprire la porta della casa e della gabbia per lasciarlo libero di volare. Paulie, però, dopo gli sfrenati voli dei primi giorni, usciva dalla gabbia soltanto per fiondarsi sulla mia spalla ed era necessario insistere molto per spedirlo a farsi un giro nel bosco. Una mattina, nonostante una fitta nebbia o forse proprio a causa della curiosità suscitata da questo nuovo fenomeno, si lanciò in un volo sfrenato e scomparve per molte ore. Temevo seriamente di averlo perso quando ricomparve, verso le sei del pomeriggio, gridando insistentemente per segnalarmi il suo ritorno e raccontarmi a suo modo dei pericoli corsi. Ad avvalorare il suo confuso racconto, si precipitò quindi sul suo personale trespolo per bere ripetutamente dal contenitore dell’acqua.
Accanto alla sua gabbia, infatti, proprio all’ingresso della casa degli uccelli, avevo piazzato un trespolo sempre ben fornito di cibo e acqua, nella speranza che Paulie imparasse ad andare dentro e fuori senza bisogno di essere sollecitato. Questo avvenne ben presto, già ai primi di ottobre: dopo gli acrobatici voli mattutini, il mio giovane conuro rientrava spontaneamente per andare a nutrirsi e gironzolare tra le gabbie degli altri pappagalli. Aveva imparato rapidamente a evitare le beccate ai piedi degli individui più permalosi, un cenerino maschio celibe e un paio di giovani amazzoni a faccia gialla che parevano odiarsi tra loro e odiare chiunque altro. Il suo cibo preferito non consisteva nei semi ma piuttosto nel pastoncino alla frutta e nella frutta stessa tagliata a pezzi. Inoltre, nelle sue passeggiate all’esterno, Paulie incominciò ben presto a giocherellare dapprima con foglie e poi con semi alati di aceri montani e anche a scendere a terra per provare foglie e fiori mangiando sempre di più in questo modo.
Immancabilmente, quando Paulie mi vedeva uscire da casa, mi veniva subito sulla testa o sulla spalla per stare con me, cosa che sarebbe stata anche piacevole se non avesse provveduto a lordarmi dei suoi escrementi. Per questo e per altri motivi incominciai a sfuggirgli ma Paulie era molto insistente e, di tempo in tempo, fui praticamente costretto ad accontentarlo portandolo in giro sulla spalla o sul braccio mentre facevo un giro nel bosco o sulla strada. Nel bosco non c’era nessun problema: se vedeva qualcosa che lo interessava si levava brevemente in volo per poi raggiungermi velocemente dopo la breve ispezione a un fiore o un frutto. Sulla strada la situazione era ed è più pericolosa perché, al transito delle auto, Paulie vola via impaurito per poi tornare sulla mia spalla, ma un paio di volte è volato basso e in mezzo alla strada rischiando di essere ammazzato. Per questo motivo, per evitare tragedie, ho trovato che il comportamento ideale da tenere è di continuare ad accarezzarlo e stare pronto a bloccarlo nel caso che si volesse lanciare in volo contro un furgone.
Un altro problema era rappresentato dai miei spostamenti che talora mi impedivano di essere a casa di prima mattina per liberare Paulie. In questo caso fu favorevole la simpatia di una vicina di casa per il pappagallo. La signora provvede volentieri a liberarlo per poi giocare con lui con una pazienza e una sensibilità che io certamente non ho.
A questo punto, l’esperimento sta durando da quasi due mesi e ci sono ancora molti interrogativi aperti. Cosa succederà in pieno inverno, magari con la neve sul terreno? Riuscirà Paulie a stabilizzare la sua sensibilità accontentandosi del poco tempo che io e i miei vicini possiamo dedicargli? Si farà catturare da estranei? Riuscirà sempre a evitare gli incidenti? Accetterà una compagna allevata come lui? A tutte queste domande potrò rispondere nei prossimi mesi e spero vivamente di essere in grado di farlo.
Renato Massa